La locanda delle cinque stanze (di Silvia Ferrau)

Una misteriosa locanda immersa nel verde e nel silenzio delle montagne. Una giovane scrittrice alla ricerca dell’ispirazione necessaria per dare forma al suo prossimo libro. Cinque stanze con nomi di donna , altrettante storie che meritano di essere raccontate. E un segreto che emerge prepotente dal passato.

La locanda delle 5 stanze

Di Silvia Ferrau

Da quando sono arrivata a Villacidro ho dimenticato di sapere quale sia il mio  paese d’origine. Me l’hanno chiesto in parecchi da dove io venga, che tipo di lavoro faccia o di quale attività mi occupi, ma rispondo che ormai appartengo a Villacidro e che la mia attività di scrittrice mi ha trascinato qui alla ricerca di idee e storie interessanti da scrivere. 

Ma forse è meglio che racconti tutta la storia dall’ inizio.

Era novembre quando incontrai Irene Aru, capelli castani fino alle spalle lisci come spaghetti numero uno, occhi grandi e penetranti di color nocciola e una borsa a tracolla a coprirle tutta la schiena minuta. Fu lei a trovarmi un posto dove stare per qualche mese. Incontrai Irene esattamente in Via San Gavino, all’ ingresso del paese, appena svoltato per Via Nazionale. 

Ricordo che il corpo di una ragazzina sfiorò lo sportello della guida, facendomi frenare di colpo e rischiando di farmi venire un infarto.

«Ma che fai?» Le urlai contro, capendo solo un attimo dopo che non si fosse accorta di stare in mezzo alla strada e sopratutto davanti allo sportello della mia macchina.

Lei si soffermo un attimo a guardarmi, poi mi disse: «Scusa, non ti avevo visto.» Teneva in mano un mazzetto di volantini e probabilmente ne aveva lo zaino pieno. Me ne porse uno. Non diede nessun segno di spavento o imbarazzo, ma continuò nel suo lavoro.

Presi il volantino senza neppure guardarlo. Ero appena arrivata ed erano mezzogiorno e un quarto. Mi serviva un posto dove alloggiare e mangiare, quindi le chiesi: «Scusa, conosci un albergo qui?»

Lei si girò e mi fece cenno di dare uno sguardo il volantino che mi aveva appena consegnato. Intanto i clacson delle auto dietro di me mi fecero trasalire. 

Ripartii e presi in mano quel volantino, dandogli un’occhiata tra una marcia e l’altra.

Lessi: “La locanda delle cinque stanze”. Ma che nome è? “Ci sono solo cinque stanze? – pensavo dentro di me- e si trova in Località “Narti”…Bene. Ma dove sarà mai questa Località Narti? 

«Segui il percorso indicato dalla cartina» disse semplicemente la ragazza, vedendo il mio volto confuso. 

Un bellissimo casolare, immerso nel verde degli alberi e delle montagne rocciose, si mostrava nella limpida fotografia in frontespizio. Il nome del luogo era stato inciso su un cartello rettangolare in legno apposto all’entrata. Questo lo faceva apparire ancora più rustico di quanto già non sembrasse. Fiori, orchidee, gerani e margherite di ogni tipo sbucavano da un muretto di pietra non distante dall’ingresso, e da un vecchissimo albero così carico di albicocche mature da faticare a reggersi in piedi. Caspita, quanti frutti portava con sé! In lontananza, scritta su un grosso portoncino di legno, una scritta rossa recitava “Benvenuti”,

Verso il centro della fotografia, un pino altissimo copriva gran parte della facciata del primo piano, dove un balcone ammantato di gerani spuntava timidamente da un’ampia finestra. A sinistra dell’immagine faceva capolino una grande quercia , vecchia di almeno cinquant’ anni. L’ingresso centrale, realizzato in pietra, guardava a una stradicciola chiusa da un basso cancellino verde.

“Però! Bel posto” pensai. Continuai a leggere sul retro del volantino, trovando deliziosi e genuini i menù e i pranzi che questo luogo offriva ai suoi ospiti: maialetto arrosto, verdure fresche del loro orto, uova delle galline che stavano nell’ aia, un buon vino per riscaldare il cuore. Infine, (cosa che allietò notevolmente il mio animo e il mio spirito letterario) la locanda disponeva di una biblioteca. E le tariffe poi, non erano niente male. I soldi ricavati dall’ ultima vendita del mio romanzo erano più che sufficienti per mantenermi alla locanda per almeno cinque mesi. Riflettei per alcuni secondi, ma non furono poi troppi: inserii la prima marcia e cominciai a seguire il percorso indicato dal volantino per dirigermi alla Locanda delle cinque stanze.

Una casa in campagna era l’ideale per quel mio periodo di riflessione poetica e spirituale. Seguendo il mio istinto, cosa che quasi sempre ero stata propensa a fare, andai incontro a quella storia che tanto volevo trovare.

Ci vollero circa dieci minuti per arrivare alla locanda. Quando giunsi all’ altezza di una curva stretta invasa dai fichi d’india, mi si piazzò davanti una casa bellissima. Scesi dall’ auto facendo lunghi respiri e godendomi l’aria calda del sole che filtrava dalle montagne di quel luogo un po’ isolato. Rimasi appoggiata allo sportello per qualche minuto. 

Merli, cinciallegre, poiane e ghiandaie frullavano il tempo di suoni e mi facevano sorridere perché tutti insieme, quei canti, erano la cosa più bella e divertente che sentivo da mesi. A un tratto, un bellissimo gatto giallo e bianco mi si accostò alla gamba.

I suoi occhi color verde smeraldo erano di una brillantezza unica. Mi avvicinai per accarezzarlo e quando feci per toccarlo udii una voce di donna alle mie spalle .

«Buongiorno. Desidera qualcosa?»

Mi girai e vidi una signora sulla sessantina con i capelli bianchi e una corporatura robusta .

«Buongiorno» Risposi. «Si, avrei bisogno di un posto in cui alloggiare. Mi hanno dato questo volantino e sono venuta.»

Mi avvicinai a quella donna porgendole la mia mano e lei me la prese con gentilezza e cortesia.

«Ha fatto bene a venire qui. Vedrà che si troverà bene. Mi segua!» Mi disse la signora corpulenta.

Così attraversammo quel piccolo viale di pietra e ci spostammo sulla destra. Una volta entrata, mi ritrovai in un piccolo pianerottolo che dava su una rampa di scale di dodici gradini, ma noi ci dirigemmo a destra, verso una porta aperta che portava a un’ampia sala con un bancone ingentilito da un vaso di margherite. Nella parete retrostante, una corta bacheca e pochi spazi per le chiavi delle camere.

«Allora, mi dica. Quanto intende rimanere signora o signorina?» Fece la donna, destreggiandosi con un computer portatile. 

«Signorina Novio. Non ho ancora fissato un termine definito, ma credo che resterò qui per almeno cinque mesi.» Risposi consultando l’agenda dei miei impegni praticamente vuota.

La donna si fermò per un attimo, smise di scorrere le sue prenotazioni sul computer poi mi guardò incredula e abbozzando un sorriso mi chiese: «Cinque mesi?»

«Si.» Dissi ribadendo le mie intenzioni.

«Lei ha dato uno sguardo alle nostre tariffe?»

«Sono le stesse del volantino?» Chiesi mostrandoglielo.»

«Ma certamente, signorina Novio.»

«Allora si, ho decisamente valutato i vostri prezzi e i vostri servizi e credo che questo posto sia assolutamente adatto a me.»

«Bene. Non posso che esserne felice, signorina. Le devo chiedere quale stanza intende scegliere per il suo soggiorno qui da noi, e per farlo occorre che lei guardi questo dépliant.»

Mi porse così questo grazioso dépliant dai bordi ritagliati a mo’ di pizzo San Gallo che si articolava in ben cinque pagine di colore.

«Si accomodi nel salottino qui affianco, e si prenda pure tutto il tempo che le occorre. Mi trova sempre qui.» . Voltandomi a sinistra, delle confortevoli poltroncine nere facevano cerchio intorno a un tavolo pieno zeppo di libri accatastati. I libri occupavano anche gli alti scaffali di legno appesi ai muri. La cosa mi mise molto a mio agio. Trovai la mia poltrona e continuai a guardarmi intorno. Quella sala si allungava ancora comprendendo in fondo un’altra stanza, chiusa con un cartellino bianco appeso a indicarne probabilmente l’utilizzo, e poi la cucina, alla sinistra della mia visuale. I miei occhi, peggiorati nella miopia, non furono d’aiuto per capire che cosa recasse quel cartellino sulla prima porta, per cui momentaneamente tralasciai. Sul tavolo però, puntai subito il nome di Pirandello con  I quaderni di Serafino Gubbio operatore  e il volto mi si illuminò. Spostai il signor Pirandello e trovai un breve saggio su  Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati, ancora Moravia e i suoi  Indifferenti , Manzoni e nostri amati  Promessi Sposi , Sciascia, Kafka e chi più ne ha più ne metta. Persi un attimo la concentrazione, rimasi sorpresa di vedere cotanta letteratura. Mi voltai in atteggiamento di richiesta verso la signora alla reception ma poi decisi di proseguire nella scelta di questa benedetta camera prima che i miei piedi cominciassero a chiedermelo. Ancora uno sguardo alla libreria di fronte a me e dietro poi, come catturata da un vortice impossibile, i miei occhi si fermarono su altri nomi colossali della letteratura sarda, italiana e straniera: Grazia Deledda, Salvatore Niffoi, Dacia Maraini, Jane Austen, Shakespeare, Dickens, Conrad, Anderson, i fratelli Grimm … tutto alla rinfusa, un minestrone nella mia mente. Cercai di smettere di leggere i nomi di quei grandi scaffali ma non riuscii a fermarmi. Come scosso da una fortissima energia, il mio piede destro dette un calcio al tavolino, capovolgendolo e facendolo volare insieme ai suoi libri.»

Mi alzai, preoccupatissima di averlo distrutto in mille pezzi o di aver potuto rovinare qualcuno di quei libri.

«Mi scusi, mi scusi, ero sovrappensiero e…»

«Non si preoccupi. Non è successo nulla. Ora, se mi da una mano, lo ritiriamo su.» Mi disse la signora, accorrendo in mio aiuto.

«Certo, subito.» E mentre il tavolino rimesso in piedi scopriva il suo piano di legno duro e scuro, pregai la signora di non affaticarsi a raccogliere i libri perché ci avrei pensato io.

Quando eccolo apparire nelle mie mani: l’ultimo, nonché settimo volume, de “La Torre Nera” di Stephen King. Il mio sorriso fu così grande e la mia sorpresa così ben sentita che il nome del grande maestro mi uscì agitato dalla bocca.

«Oh si signorina. L’intera saga la trova nella stanza “Ludovica”.»

Poggiai King nuovamente sul tavolino e ripresi in mano quel dépliant decisa a concludere quel processo. 

La prima stanza, presentata con grande dettaglio di immagini, era la stanza Sofia. Un gran letto matrimoniale con lenzuola rosso intenso spiccava in quel connubio di bianco e nero. Un calore forte e intenso suscitava la fantastica dormeuse rossa situata nel bel mezzo di una ricca libreria. Leggendo le descrizioni di Sofia, capii che si trattava della stanza più grande della locanda e della stanza dell’amore e della speranza. I testi disponibili per gli ospiti che si trovavano lì erano fra i più romantici (non nel senso letterario del termine) e conosciuti nella letteratura femminile contemporanea.

Si andava da Danielle Steel a Nicholas Sparks, da Jojo Moyes a Sveva Casati Modignani. Era una ricca collezione, per niente trascurabile. Una piccola biblioteca personale davvero piacevole alla vista.

Ma la mia permanenza nella locanda da persona sola non richiedeva certamente un letto tanto grande, che poteva invece essere lasciato libero per qualche coppia innamorata.

Così proseguii nella mia ricerca. La seconda stanza fu la stanza Rebecca. Un acceso color arancio fuoriusciva da quelle immagini, lasciando trasparire allegria, purezza ma anche un certo stile.  Un letto a una piazza e mezzo ricoperto di un lenzuolo ricamato di cotone arancione e bianco catturò il mio lato estetico assopito e forse morto. Si trattava di un lenzuolo ricamato a mano che riprendeva la sua trama nei tendaggi della finestra e nelle manopole degli armadi. Uno specchio grande mobile stava ai piedi del letto, affiancato da un manichino alto e bianco che indossava un meraviglioso abito di seta nero, un pugno di oscurità in quel posto così luminoso. Nelle descrizioni trovai che in quella stanza c’era una macchina da cucire e della stoffa disponibile per chiunque avesse una così antica e nobile passione come quella della sartoria. Pensai a quanto potesse essere utile una cosa del genere, quando si sta fuori casa. Ti strappi un bottone o un lembo della camicia e nella tua stanza d’albergo hai tutto l’occorrente per rimetterlo apposto. Ma al di là di questo, capii che quella era la stanza della moda e della creatività. Nulla di più chiaro per me che cominciai a riflettere sul perché di una scelta d’arredamento così particolare.

Era come se quelle stanze fossero state di qualcuno, un tempo, qualcuno dalla precisa personalità. Era quasi evidente.

La moda però, non era certo il mio forte. Io, che convivo pacificamente con un paio di jeans e una camicia estiva convivo dall’età di quindici anni, mi sarei trovata decisamente a disagio con quello splendido e impeccabile vestito da seta davanti agli occhi ogni giorno. Un’altra biblioteca, piccola ma ricca di gialli, trhiller psicologici e romanzi sulle più grandi figure della moda dall’Ottocento ad oggi, catturò il mio sguardo: Coco Chanel in prima linea e D’annunzio con il suo mondo incredibile a concludere l’ultima fila di volumi. 

Terza stanza: Aurora. I suoi muri, cosa che risaltava ancora di più agli occhi dopo Rebecca, erano dipinti di un giallo canarino molto piacevole che dava alla stanza un tocco di bambino. Notai sulle pareti moltissime immagini di animali, un telescopio per osservare le stelle e un gigantesco mappamondo posizionato sulla scrivania. E non era finita qui perché la stanza includeva, come per Sofia, una piccola biblioteca personale sulle specie animali, con dvd e documentari sui viaggi e le scoperte degli archeologi e degli studiosi di tutto il mondo. Documenti disponibili anche su richiesta.

Un’altra stanza ben pensata, mi dissi. Certamente, a chi non sarebbe interessato trascorrere mesi a visionare documentari e scoperte scientifiche nella sicurezza di una così confortevole stanza? A chi, se non a uno scrittore o un ricercatore? Ma io, più cacciatrice di storie e di sensazioni che di dati, non ero venuta qui per fare una ricerca e pubblicare un testo storico-scientifico bensì per trovare la prossima storia che secondo il mio editore difficilmente avrebbe eguagliato il successo del mio precedente lavoro. In quei momenti però, ero sempre più propensa a pensare che forse avrei trovato qualcosa di sensazionale proprio lì e che non ci avrei messo neanche tanto a scriverlo.

Ma intanto che i miei pensieri girovagavano ininterrotti, eccomi alla penultima stanza: Lara. Un’iniziale inquietudine mi pervase, quando capii e vidi che i muri di quella stanza erano completamente blu. Un grande letto a baldacchino con drappi viola e celesti ricoprivano quel giaciglio di un’aura misteriosa e lontana che catturava lo sguardo.

Vidi anche in questa stanza una notevole libreria di volumi. Stavolta però a farla da padrone era decisamente il fantasy. L’intera bibliografia di Tolkien, Lisa J. Smith e Stephenie Mayer correlati di dvd erano solo alcuni dei numerosi volumi di quella stanza. Altra personalità, sì. Dovevano essere delle vere persone, queste stanze. C’era troppo di umano in ognuno di quegli arredamenti e la mia curiosità cominciava a reclamare il suo giusto appiglio.

Devo ammettere che la bellezza e il mistero di quella stanza tentarono parecchio il mio gusto per la scoperta e per l’arcano che fin da piccola mi avevano accompagnato. Ma la sola ed unica immagine che riguardava la stanza Ludovica catturò definitivamente i miei occhi e mi fece fare la scelta.

Solo una foto, a differenza delle altre, solamente una scritta attaccata alla porta di quella stanza era stata messa nel depliant. Ma perché? Lo scoprii subito leggendo quelle parole:

«Ovunque andrò porterò con me gli odori e i sapori di questa terra. Cercherò la generosità di Sofia nell’animo di tutti, mi sforzerò di tenere puliti e in ordine i miei abiti (solo per Rebecca), proverò a fidarmi meno delle persone sbagliate, come Lara spesso mi ha insegnato, e cercherò di mostrare più bontà e bellezza di spirito, anche se non sono bella come te, Aurora.» 

Ludovica

Finito di leggere quelle parole, la sensazione di aver trovato quello che cercavo mi schiaffeggiò il volto ridestandomi da un certo torpore invernale provato fino ad allora.

Nessuna descrizione per Ludovica, nessun baldacchino visibile né libreria identificabile. La cosa destò in me troppa perplessità e troppa curiosità per poter stare ferma a riflettere ancora. Guardai meglio quell’immagine e rilessi quelle righe. Sì, dovevano essere sorelle, cinque sorelle, o forse cinque amiche, o forse ancora cinque orfane che hanno vissuto qui tanti anni fa. La storia già mi si scriveva sulle dita, già infervorava le mie notti lunghe e fredde d’inverno. Ero pronta.

«Scelgo Ludovica» Dissi alla signora rendendole il depliant. 

«Ne è sicura? La scelta del depliant è puramente indicativa e qualora lei avesse bisogno le posso  anche far vedere le stanze prima di scegliere quella più adatta a lei. Non abbiamo altri clienti per cui se volesse…»

«Scelgo Ludovica, grazie.» Interruppi quella gentile signora e puntai dritta al mio obiettivo.

Lei sorrise ancora e si fermò ad analizzare quei miei occhi sicuri e il mio volto, in attesa di notizie. Poi, come avendo capito qualcosa di certo, si rassicurò con un movimento della testa e proseguì il suo lavoro.

«Va bene, signorina Novio. Posso chiederle per quale piacevole occasione si fermerà così a lungo insieme a noi?»

«Scrivo.» Risposi molto frettolosamente mentre rivoltavo la mia borsa in cerca del borsellino con i documenti.

«Ḕ una giornalista?»Chiese ancora.

«No. Scrivo.»

«Scrive.» Ripeté afferrando il mio codice fiscale e la mia carta d’identità.

Terminata la registrazione e fissato il mio fine soggiorno per la fine di Maggio, venni gentilmente accompagnata dalla signora su per quella rampa di scale che avevo visto dal pianerottolo. Arrivate in cima cinque erano le porte dinnanzi a me. Cominciai a chiedermi a quale lato della montagna la mia finestra avrebbe dato. Certamente quello sinistro era il migliore, ma la parte rocciosa che caratterizzava il versante destro non era affatto male.

Vidi subito Ludovica alla mia destra, e le mie riflessioni terminarono in un istante. Lessi ancora una volta quelle parole mentre la signora davanti a me infilava la chiave nella porta con lentezza.

Quando la porta si aprì, i miei occhi trasalirono e tornarono per un momento a quando avevo visto le immagini di Lara nel depliant. Là le pareti della stanza erano completamente blu mentre qui un pugno in un occhio di color bordeaux mi colpì in volto in un secondo. Mi resi inoltre conto di quanto fossero alti i muri in quella casa. Veramente molto.

«E’ bordeaux!» Mi uscì dalle labbra.

«Esattamente, signorina.» La donna mi fece quindi strada.

Sulla parete di chiusura, in fondo, un letto alto e morbido posto orizzontalmente e dal copriletto verde speranza sottolineò subito un dettaglio da me ritenuto indispensabile: stava esattamente sotto la finestra della stanza, anche quella davvero in alto rispetto agli standard normali. 

«Nel caso voglia spostare il letto da sotto la finestra, signorina, me lo dica subito e provvederemo a spostarglielo senza alcun tipo di problema.» Continuò la signora indicando il modo alternativo in cui il mobile sarebbe potuto stare.

«No, va bene così.» Dissi senza esitazione. Era perfetto.

E mentre la signora cominciò a mostrarmi il bagno interno alla mia nuova camera villacidrese, mi persi nell’ altissimo scaffale che quasi occupava per intero la parete sinistra della stanza. Decine di libri, alcuni dei quali spostati e conservati alla rinfusa, riempivano di storia quel piccolo posto così strano ma così bello. Disposta verticalmente e di spalle rispetto all’ingresso, una confortevole poltroncina color senape sottolineava un angolo di lettura veramente curato in quell’accogliente locanda. 

«Ah si. Questa è la sua biblioteca personale signorina Novio. Tutto a sua completa disposizione.» Mi raggiunse la signora dal bagno.

«Qui c’è la sua scrivania. Ecco.» Si avvicinò ai piedi di quel letto così alto che solo standoci accanto riuscivi a cogliere realmente nella sua particolarità. La signora mi indicò un piano di scrittura proprio incollato alla spalliera finale del letto. Si sviluppava come uno di quei tavoli da campeggio (ma molto più raffinato s’intende) che fuoriescono dai piccoli camper inglesi. Mi sollevai un attimo per poter vedere meglio e mi accorsi che mancava la sedia. E doveva trattarsi di una sedia molto alta vista l’altezza del tavolo.

«Mi scusi ma la sedia della scrivania dov’è?» Chiesi notando che anche la signora si era accorta di quella mancanza.

«Ah si, dimenticavo. E’ stata portata ad aggiustare qualche giorno fa, sa, i mobili vecchi hanno sempre i loro acciacchi. Gliela faremo avere entro domani mattina, non si preoccupi.» Terminò decisa la signora.

Morendo dalla curiosità di sapere come sarebbe stata quella sedia così stramba, ma tentando comunque di rimanere connessa con la realtà, mi ricordai della Torre Nera. Non l’avevo ancora vista nello scaffale.

«La Torre Nera dov’è?» Domandai cercando con lo sguardo. «Esattamente dietro di lei. Se fa la cortesia di chiudere la porta la vedrà immediatamente davanti a lei.» 

Così feci e così la vidi lì, inerme e sola tenuta insieme da un prezioso nastro giallo che si chiudeva in un grande fiocco.

«Come mai sta qua, nascosta?» Domandai esterrefatta. 

«E’ sempre stata lì.» Rispose quella donna chiudendomi una parziale porta in faccia. Ma non era certo quello il momento di insistere e rovinare una così bella scoperta con la futile curiosità e per il momento lasciai perdere la questione.

«Il suo armadio qui di fronte contiene coperte e cuscini, se gliene servissero degli altri in aggiunta» proseguì indicando l’armadio posto nella parete di fronte alla libreria. «Le raccomando di spegnere sempre la televisione qualora debba uscire dalla sua camera.»

«Quale televisione?» Le domandai andando in cerca del moderno oggetto.»

«Non l’ha vista? Eccola è proprio qui. Ha anche una collezione di dvd da guardare, nel caso fosse interessata.»

Tornammo allo scrittoio e voltandomi a destra e, ancora più in alto di quanto fossi abituata a fare, vidi la tv. Sotto di essa un lungo mobile di quasi due metri per uno conteneva decine e decine di dvd. Un piccolo cinema personale, pensai.

«Grazie.» Dissi soddisfatta di quella mia scelta. Ludovica era stramba sì, ma era così misteriosa che tutto di lei pareva raccontarmi una storia. Chissà chi era e come era stata questa Ludovica. Chissà per quanto tempo aveva vissuto lì, tra quelle pareti piene di parole e di sospiri.

Chissà quanto era alta, dato che il suo letto si avvicinava al soffitto!

«Ma come faccio a salire sul letto? C’è una scala?» Improvvisamente mi ricordai anche di questo aspetto essenziale.

«Certo. E’ la scala della libreria. La trova proprio lì, guardi pure.» Indicò la fine di quel grosso scafale dietro il quale una scala di legno stava appoggiata debolmente.

Rimasi un attimo disorientata, giusto un secondo, ma la cosa mi divertì così tanto che riuscii semplicemente a dire un: «Perfetto!»

«Bene signorina Novio, le comunico che sono l’una e che tra mezzora serviremo il pranzo nella sala di sotto.» Terminò con un filo di voce che si andava spezzando di raucedine.

«Servirete il pranzo? Solo per me?» Rimasi sbigottita.

«Ma certo che si. Lei è una nostra ospite e in base alla sua prenotazione ha diritto al pranzo e alla cena tutti i giorni.»

«Non disturbi il cuoco la prego. Mi accontenterò di una doccia calda e di un panino se non vi crea troppo disturbo.» Terminai con un filo di malincuore per quel pranzo così ben proposto e così facilmente rifiutato.

«Non sentirò ragioni,signorina Novio. Il pranzo verrà servito all’una e trenta in sala di sotto. Attenderò che scenda e l’accompagnerò personalmente.» Chiuse così la porta dietro le sue spalle quella donna così gentile ma anche così formale da fare quasi paura.

Non feci in tempo a chiedere il suo nome quando trovatami sola dentro Ludovica, un senso di conforto e di tenerezza mi prese e mi condusse a quella mezzora di doccia e profumi in un bosco lontano, infinito, fatto di verde e di cielo che sosteneva i miei sensi.

Lasciate quelle sensazioni alle mie spalle, mi ritrovai in quella piccola hall, a essere nuovamente ricevuta dalla signora.

«Venga signorina, mi segua.» Disse facendomi strada.

«La ringrazio, ma può darmi del tu se preferisce. Lei invece è la signora?» Chiesi organizzando un assalto a quel tripudio di gentilezza e formalità di donna.

«Ines. Mi chiamo Ines. Vieni, siediti qui Carolina.» 

Senza accorgermene avevamo attraversato quella lunga sala dando il fianco destro alla cucina ed entrando in un’altra bellissima stanza luminosa e accogliente: il ristorante.

Un unico tavolo quadrato era stato apparecchiato per me e soltanto per me. Mi sentii una vera regina, deliziata dal profumo di pancetta e di uova.

«Abbiamo preparato un buon piatto di pasta alla carbonara, per secondo un petto di pollo con zucchine alla griglia e un’insalatina di rucola e ciliegini.» Mi disse guardandomi speranzosa.

«La carbonara andava già bene da sola. Ringrazi tutti per cortesia.» Dissi sentendomi un pizzico a disagio.

«Dovere.» Rispose seria e composta Ines, la donna delle formalità.

Nel silenzio di quell’ampia sala, aperta esclusivamente per me, un sentore d’entusiasmo mi pervase il corpo. Brividi di magia e di emozione per quello che avrei potuto scrivere e rendere unico per i miei lettori mi presero tutta.

Dovevo prendere immediatamente appunti, segnare sul mio taccuino tutte quelle sensazioni, senza tralasciare nulla. 

Ero certa che da quel momento in poi troppe cose sarebbero successe e ci sarebbe stata troppa carne al fuoco per la mia povera memoria calante

La porta finestra che permetteva di accedere al giardino proprio dalla sala ristorante, mi portò fuori momentaneamente, a gustare, circondata da alberi e fiori, tutta l’essenza di questa località di montagna.

Il vialetto di pietra mi condusse a destra, dove il terreno su cui poggiavano i miei piedi si sviluppava a grossi gradoni verso il basso, facendomi scoprire in che posizione esattamente fossimo.

Ma quando, incuriosita da alcuni piccoli locali di cemento che vedevo dalla mia posizione, a circa centocinquanta metri di distanza sentii arrivare una macchina.

Una vecchia Fiat Panda nera arrivò lenta e si fermò accanto alla mia macchina.

Una ragazza scese e i miei occhi si riempirono di preoccupazione mista a entusiasmo, quando vidi la ragazza che stavo per investire qualche ora prima.

Autore dell'articolo: Redazione