“Un palazzetto nel nome di mio fratello”: a tu per tu con Rossana Concas

Oggi Giuseppe Concas avrebbe avuto 44 anni. Per quel gesto eroico che nel ’97 lo portò, appena ventiduenne, a morire tra le onde di Portu Maga dopo aver salvato un bambino di sei anni e la sua mamma, ieri pomeriggio la comunità di Arbus gli ha intitolato il Palazzetto dello Sport appena riqualificato. Per “In Punta di Piuma”  la piccola Sara Frau ha intervistato la sorella di Giuseppe, Rossana Concas: 

Rossana, che ricordo custodisce di suo fratello?

Mi ricordo tutto di lui. Soprattutto, ricordo quando rientrava la sera e bussava sul muro divisorio delle camere, perché mi doveva raccontare cosa gli era successo durante il giorno. Lo faceva tutti i giorni.

Lui era un grande sportivo: gli piaceva giocare a calcio?

Giuseppe era una promessa del calcio regionale. Esordì nel Guspini negli allievi regionali, poi è piaciuto talmente tanto che ha giocato in prima squadra. Ma Giuseppe non amava solo il calcio, anche il tennis, il basket e qualsiasi sport dove ci fosse una palla.

C’è un consiglio che magari ti ha dato e segui ancora?

No, perché io ero la più grande tra di noi. Ero io che davo consigli a lui, ma ho scoperto solo dopo che lui era in realtà molto protettivo nei miei confronti. Da quanto mi hanno raccontato alcuni suoi amici, ho appreso che aveva un grandissimo senso di protezione verso di me. Però non mi ha mai dato consigli.

Cosa avresti voluto dirgli, ora che il Palazzetto porta il suo nome?

Ho fortemente voluto questa intitolazione. Quando in Consiglio Comunale si è discusso in merito alla ristrutturazione del palazzetto, ho chiesto alla maggioranza se, dato che già ci sarebbe stata un’intitolazione a Sandro Usai (che morì salvando alcune persone dall’ alluvione di Monte Rosso, in Liguria) se fossero d’accordo nel celebrare anche la memoria di Giuseppe allo stesso modo. Cosa mi direbbe lui? “Ma guarda che sei tonta”, perché era molto schivo. Ad esempio, era contento che tutti apprezzassero come giocava, ma non voleva che si esagerasse col tifo da parte della famiglia e gli si dicesse troppo “bravo, bravo”. Probabilmente avrebbe anche storto il naso. Ma era giusto riconoscergli il suo grande gesto e anche riconoscere ai nostri genitori  ciò che ci hanno insegnato.

 

Autore dell'articolo: Redazione