Ci sono più pensionati che lavoratori

Conti in bilico per la previdenza: più pensioni che occupati e le provincie con il maggior numero di erogazioni quasi l’80%, si trovano al sud.
La Sardegna a metà strada. In Italia ogni 100 pensioni Inps ci sono 111 lavoratori attivi, e il conto scende a 103 se si escludono i professionisti che versano i contributi alle Casse private. In 39 province su 107, quasi tutte al Centro-Sud, gli occupati sono meno degli assegni previdenziali. In Calabria il record con 67 lavoratori per 10 pensionati, ma anche la Sardegna ha il suo non invidiabile primato con la provincia di Nuoro e i suoi 79 lavoratori che tendono a tenere troppo basso questo rapporto e, nonostante il record di lavoratori attualmente occupati con numeri in salita, non bastano al riequilibrio appesantito da un sud in affanno. «Non esiste età pensionabile e non esiste riforma della previdenza che sia compatibile con gli attuali tassi di fecondità in Italia», ha spiegato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
I numeri lo confermano e la rapidità con cui si modificano aggiunge intensità all’allarme. Le politiche per la natalità, ammesso che si riesca a costruirle e soprattutto a renderle efficaci, impiegano decenni per determinare effetti economici di un qualche significato. A scorrere le cifre, il tempo a disposizione
per invertire la rotta non sembra molto e come sottolinea Tridico, presidente uscente dell’INPS nella lettera di commiato ai suoi dipendenti, il problema natalità «pone a rischio l’equilibrio di bilancio». Infatti a preoccupare nel bilancio pubblico di un Paese che invecchia è la previdenza. Il nostro è un sistema a ripartizione, nel quale i contributi versati da chi lavora servono a pagare gli assegni a chi è in pensione. Di qui l’importanza di una platea di occupati ampia, per finanziare il più possibile la previdenza che, nella parte non coperta dai contributi, finisce inevitabilmente a carico della «fiscalità generale» o di deficit o debito. In teoria, il quadro attuale in Italia, da questo punto di vista, è il migliore di sempre, perché complice la crescita del Pil a tassi inediti seguita al crollo pandemico, il numero di occupati ha superato i 23 milioni e viaggia ora a livelli mai raggiunti da quando, nel 2004, l’Istat
ha avviato le rilevazioni mensili. Il problema è che tutto questo non basta.
L’indicatore più diretto per misurare il livello dei conti previdenziali italiani è dato dal rapporto fra gli occupati e le pensioni erogate dall’Inps. Nel dato nazionale oggi questo rapporto è a 1,11, cioè per ogni assegno staccato dall’Istituto nazionale della previdenza sociale ci sono 1,11 lavoratori attivi.
In 39 Province italiane, il 37% del totale, la soglia della parità fra occupati e pensioni è già stata superata al ribasso, spesso in modo ampio. Questo dato è la regola nel Mezzogiorno, dove si concentra l’82% delle Province in questa condizione, affiancate da qualche area del Nord lontana dalle grandi città,
in particolare in Piemonte (Asti, Alessandria, Vercelli) e nella Liguria (Savona, Imperia) caratterizzate dal tasso record di popolazione anziana. I numeri crollano soprattutto in Calabria, a partire da Reggio e Catanzaro, dove i lavoratori attivi sono 67 ogni 100 pensioni mentre a Crotone si arriva a 71 e a
Vibo Valentia a 76. Tra le grandi, sotto la parità si incontrano Palermo (84 lavoratori ogni 100 pensioni) e Napoli (96), mentre Roma (131) e Milano (133) sono ancora sopra. La Sardegna sta nel mezzo, a parte il caso di Oristano, c’è poi Nuoro con 82 occupati ogni 100 pensionati. A Sassari la tendenza si inverte: lavorano in 102 (sempre ogni 100 pensionati), mentre in provincia di Cagliari il rapporto è 103 a 100. Meglio della media nazionale, ma molto al di sotto dei territori più «operosi»: a Bolzano lavorano in 162 per garantire 100 pensioni, a Prato 148, a Trento 147.

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