“Cara mammina, caro babbino”: l’ultima lettera di un condannato a morte

Il racconto della triste vicenda che nell’agosto del ’43 coinvolse il piccolo Walerjan Wròbel, deportato e condannato a morte dai nazisti a soli 16 anni

Nel corso del mese di gennaio ricorre l’annuale appuntamento con la Giornata della Memoria, fissata significativamente al 27: fu proprio il 27 gennaio 1945, infatti, che le truppe sovietiche entrarono ad Auschwitz, rivelando al mondo l’orrore del genocidio nazista.

Nella ricostruzione e nel ricordo di uno degli eventi che ha più tristemente segnato la nostra grande Storia contemporanea, pare opportuno andare a raccontare anche le “piccole storie” di chi è rimasto, per lungo tempo, senza voce.

Tra queste, quella di Walerjan Wròbel, un ragazzo polacco, di soli 16 anni.

La storia di Walerjan è la storia di uno, ma è, allo stesso tempo, quella di tanti: come molti ragazzi della sua età, costretti a stare lontani dal proprio paese natio, dalla propria famiglia, è affetto da una nostalgia di casa tanto profonda da divenirne vittima.

“Mal di casa” è proprio il titolo dato, nell’edizione italiana, al libro che, alle sue vicende di vita, ha dedicato il professor Christoph Schminck-Gustavus, docente di Storia del Diritto all’Università di Brema, edito per la prima volta in Germania nel 1984. Schminck-Gustavus si imbatte in Walerjan quasi per caso, nell’ambito di una ricerca di archivio che lo aveva portato ad analizzare le carte dei processi del Tribunale Speciale nazista.

Durante il regime, nella sola città di Brema, erano state emesse ben 56 condanne a morte: tra questa quella di Walerjan, deportato dalla Polonia nel Reich, nell’aprile del 1941, per essere impiegato come bracciante agricolo in una fattoria della città.

Animato da un profondo malessere, provocato dalla lontananza dai suoi familiari, Walerjan decide di appiccare un incendio nel granaio della stessa fattoria in cui lavora. Nel farlo è mosso da una convinzione infantile: crede che, eliminata fisicamente la fonte del suo lavoro e provandosi un cattivo lavoratore, sarà rinviato in Polonia per punizione, potendo finalmente riabbracciare i suoi genitori.

Pentitosi immediatamente di quanto fatto, Walerjan doma il fuoco, prima che divampi e provochi dei danni effettivi. Non abbastanza in fretta, tuttavia, da non allarmare la padrona della fattoria che, notato del fumo e accortasi del misfatto, provvede a denunciarlo alla GESTAPO, che lo arresta, il 2 maggio del 1941, con l’accusa di essere un sabotatore del Reich. La fattoria, infatti, produceva beni considerati di inestimabile valore, in quanto utili a sostenere l’economia di guerra del Reich.

Dopo essere stato internato per nove mesi nel campo di concentramento di Neuengamme, Walerjan viene trasferito in un centro di detenzione, in attesa del processo.

Quest’ultimo viene tenuto l’8 luglio del 1943: in quest’occasione il Tribunale Speciale lo condanna a morte, in qualità di “Volksschandling” (“nemico pubblico”).

A nulla vale la richiesta di grazia formulata dalla difesa: essendo polacco, a Walerjan vengono negati i diritti e le tutele che gli spetterebbero in quanto minore.

Il ragazzo va incontro al suo destino con la stessa ingenuità e leggerezza che lo avevano contraddistinto in vita, senza ribellione alcuna, accettando la sua sorte. Ha una sola richiesta, prima di morire: quella di poter scrivere un’ultima lettera ai suoi cari. Lo fa, congedandosi singolarmente dalla sua “mammina”, dal padre, dal fratello, dall’amata sorellina, chiedendo per sé solo un ricordo, la celebrazione di una messa. Ancora una volta il suo pensiero è lì, a quella casa, tanto amata e agognata, che non rivedrà mai più. Sul retro della lettera, accanto alla firma e ad un’ultima dedica, il disegno di un cavallo, il suo animale preferito.

Viene ghigliottinato, alle 06.15 del 25 agosto 1943: ha poco più di 16 anni.

Dopo la riscoperta del professor Schminck-Gustavus, la storia di Walerjan è stata oggetto di due trasposizioni cinematografiche, liberamente ispirate al libro, e ha trovato ampia diffusione in Germania.Il suo ricordo è tenuto vivo da un’associazione per l’identificazione degli ex deportati di guerra che porta il suo nome. Approcciarci, oggi, alle vicende di vita di Walerjan, può essere utile non solo per ricordare, ma anche per farci riflettere sulle pagine di guerra che vengono ancora scritte tutt’oggi, tanto, troppo, simili alla sua: quelle che raccontano le storie delle vittime innocenti.

“Cara mammina e babbo. Scrivo le mie ultime parole. Parole per voi; non tornerò mai più a casa, perché mi è successa una cosa grave. Ma io prego Dio, l’Onnipotente, nell’ultima ora, che io possa confessarmi e fare la Santa Comunione. Ma se continuerò a vivere, cari genitori, vi scriverò subito una lettera, che non vi preoccupiate per me. Vi prego ancora una volta di non essere in pena per me. Se non dovessi più vivere, vi chiedo solo una Santa Messa. Mi congedo da voi, cari genitori, in quest’ultimo momento. Prego che possiate vivere il più a lungo possibile, pregate Iddio che vi aiuti a restare sani. Queste ultime parole le scrivo con mano benedetta.

Buonanotte cara mammina, papà, fratello e sorellina.”

Traduzione retro lettera: “Cara mammina, caro babbo, fratello e sorellina, ultime parole.”

Francesca Loi

Autore dell'articolo: Redazione